Dorothy Baker | La leggenda del trombettista bianco

Se il genio della lampada mi chiedesse di esprimere un desiderio, io gli chiederei di catapultarmi alla fine degli Anni Settanta, quando gli sgangherati componenti dei Johnny’s Nine suonavano al sabato sera nelle balere della mia zona. Avrei voluto sentire suonare la prima tromba, un ragazzo con i basettoni e i pantaloni a zampa, e che molti anni dopo sarebbe diventato mio papà. Oggi, sciolto il gruppo, mio papà suona ancora la tromba per la banda musicale del mio paese, a volte per il coro della chiesa e per noi ogni sera. Il suono della tromba è un qualcosa che mi accompagna da sempre e quando tra le novità Fazi ho adocchiato “La leggenda del trombettista bianco” di Dorothy Baker (Fazi, 236 pagine, 16 euro) mi sono detta: devo assolutamente leggerlo. E non ne sono rimasta delusa.

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Titolo: La leggenda del trombettista bianco

L’Autrice: Dorothy Baker (1907 – 1968) è stata una scrittrice e insegnante americana. Il suo esordio nel 1938 è “Young man with a Horn” e la consacra al successo della critica. Per Fazi, nel 2014, è uscito anche “Cassandra al matrimonio”

Traduzione dall’inglese: Stefano Tummolini

Editore: Fazi Editore

Il mio consiglio: assolutamente sì, è una storia narrata a ritmo di jazz e gli squilli di tromba di Rick Martin vi conquisteranno di sicuro

Questa deve essere la storia di un giovane uomo che, senza neanche saperlo, aveva il talento di creare musica in modo così fluido e naturale come… be’, diciamo come Bach, Non si poteva chiedere a Rick Martin di suonare le note com’erano scritte. Lui se ne stava lì seduto ad aspettare pazientemente, ma quando arrivava il suo turno, o appena si presentava l’occasione, spiccava il volo e cominciava ad inventare, estemporaneamente, la musica più innovatica e geniale che si fosse mai sentita a quel tempo. Mi spiace dirlo, ma il nostro uomo è davvero un artista, che si porta in spalla quel duro fardello che è l’anima di un artista. Solo che non possiede l’altra qualità che dovrebbe accompagnare un’anima simile – e che raramente, immagino, l’accompagna: la capacità di tenere il corpo sotto controllo, mentre lo spirito segue la sua strada. Tant’è che va in mille pezzi, ma non in maniera lieve. [La leggenda del trombettista bianco, Dorothy Baker, trad. S. Tummolini, cit. pagina 17]

La madre di Edward Richard Martin è morta il giorno in cui è nato e il padre si è liberato in fretta di quel figlio che gli pesava sulle spalle. Affidato ad una coppia di zii, Rick Martin cresce in California, e un giorno per caso entrando nell’edificio della Missione delle Anime scorge un pianoforte e così, con il suo dono, inizia a leggere le note sugli spartiti e a pigiare i tasti bianchi e neri per produrre musica.

Ma il piano, pur piacendogli, non è il suo strumento: Rick Martin vuole suonare uno strumento a fiato, così si cerca un lavoretto umile e inizia a mettere da parte i soldi per acquistare una tromba. Sul luogo di lavoro conosce Daniel “Smoke” Jordan, un ragazzo nero che non ha molta voglia di spazzare i pavimenti del locale, preferisce suonare la batteria. Rick Martin entra subito in sintonia con Smoke Jordan, e il ragazzo nero accompagna ogni notte il ragazzo bianco ad ascoltare le esibizioni del pianista nero Jeff Williams e la sua band. Rick Martin ne è immediatamente conquistato, ma al pianoforte preferisce la tromba, così Arthur “Art” Hazard insegna al pivellino bianco i rudimenti dello strumento a fiato.

La carriera di Rick Martin pare una spianata verso il successo: gli ingaggi si moltiplicano, prima suona in una nota band in California e poi addirittura viene ingaggiato a New York, in un’orchestra molto famosa. E’ incredibile come un bianco sembri suonare jazz come un nero, Rick Martin non si limita a leggere e riprodurre le note scritte sul pentagramma, ma durante i suoi assoli inventa, crea, modella le note a suo piacimento e il pubblico va in visibilio.

Si fermò alla fine di un inciso, e Jeff continuò mentre lui restava ad ascoltare, e quando Jeff ebbe terminato la sua parte, Rick inclinò la tromba verso l’alto e gli diede il cambio, mantenendo le promesse che aveva fatto suonando il primo inciso in modo trattenuto. Jeff si voltò a guardarlo, strizzando gli occhi per dare man forte alle orecchie. Anche i quattro uomini seduti al bancone si girano verso di lui, puntando bruscamente la testa in direzione del suono. Era il puro e inconfondibile stile Martin. Se ne stava in piedi, con un piede appoggiato sul piolo di una sedia, a soffiare un alito di vita in quella tromba tesa e sottile come una frusta. [La leggenda del trombettista bianco, Dorothy Baker, trad. S. Tummolini, cit. pagina 205]

Purtroppo, però, non è facile conciliare vita e successo, soldi e fama con la modestia e la tranquillità, soprattutto quando si conosce una ragazza come Amy North. E come per molti altri artisti prima di lui, Rick Martin con la sua vita sgregolata e incredibile, si avvicina rapido come un treno in corsa verso il baratro…

Il primo romanzo che leggo di Dorothy Baker è proprio l’esordio di questa scrittrice americana, uscito nel 1938 con il titolo “Young man with a Horn”, cosa posso aggiungere di mio a questo libro che è a dir poco fantastico? La storia di Rick Martin e dei suoi amici si legge quasi tutta d’un fiato, con un ritmo che non si smorza mai, tra colpi di scena e capitoli brevi che invitano il lettore a proseguire e a proseguire ancora.

Oltre alle belle descrizioni dell’ambiente musicale degli Anni Venti tra la west e la east coast degli Stati Uniti, la cosa che ho più apprezzato è il come la storia è raccontata, ovvero dal punto di vista di un narratore onniscente che spesso si lancia anche in giudizi personali. E’ un narratore che non conosciamo e non viene rivelato nemmeno alla fine della storia; è come le vicende di Rick Martin ci venissero raccontate da un amico che lo ha sempre seguito, che a volte l’ha approvato e a volte disapprovato, e questo espediente per narrare la storia mi è piaciuto tantissimo.

In questo libro, appunto scritto nel 1938 e ambientato negli Anni Venti, non c’è spazio per il razzismo e non esiste superiorità tra bianchi e neri, forse perché la musica mette d’accordo tutti e, anzi, a dirla tutta i neri hanno sempre suonato jazz meglio dei bianchi.

Insomma, è un libro che consiglio di leggere per lo stile, per la storia e soprattutto per la grande passione che Dorothy Baker ci mette per raccontarci della leggenda di Rick Martin, lo sfortunato trombettista bianco.

7 pensieri su “Dorothy Baker | La leggenda del trombettista bianco

    • Claudia ha detto:

      Buondì Michela! Direi di sì, le atmosfere ricordano quelle di Gatsby, anche se in questo romanzo scorre molto più alcool e c’è molta più musica 🙂 Tra i due, La leggenda del trombettista bianco mi è piaciuto molto di più 🙂

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