Luiz Ruffato | Di me ormai neanche ti ricordi

Leggendo il secondo libro di Luiz Ruffato ho avuto di nuovo la sensazione di trovarmi di fronte ad un bravissimo scrittore. Se qualcuno pensa che la letteratura sudamericana abbia avuto il suo periodo d’oro negli anni ’80 con scrittori del calibro di Gabriel Garcia Marquez o Isabel Allende, io penso che si sbagli, perché anche nei giorni attuali è possibile trovare ottimi scrittori che ci regalano storie bellissime ed emozionanti. Il brasiliano Luiz Ruffato, secondo me è uno di loro, e se dopo aver letto “Fiori artificiali” mi ero resa conto di quanto fosse interessante questo Autore, ora dopo aver letto “Di me ormai neanche ti ricordi” (laNuovafrontiera, pagine 136, 14 euro) ne ho la conferma. Certo, bisogna essere lettori curiosi disposti a cercare tra gli scaffali delle librerie, anche nei ripiani un po’ più bui, ma vi assicuro che ne vale la pena.

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Titolo: Di me ormai neanche ti ricordi

L’Autore: Luiz Ruffato è nato a Cataguases, nel 1961, ma prima di diventare scrittore ha svolto ogni genere di mestiere. Oggi viene considerato uno dei romanzieri brasiliani contemporanei più interessanti, poiché racconta un Brasile vero ed autentico, lontano dai soliti stereotipi

Traduzione: Gian Luigi De Rosa

Editore: laNuovafrontiera

Il mio consiglio: per i lettori che cercano un romanzo epistolare denso di quelle emozioni che spaziano dalla gioia alla tristezza, per chi cerca un Autore dalla musicalità incredibile

Sono rimasto con Nilson che ci vediamo la prossima settimana. Vogliamo andare a vedere un film con Giuliano Gemma. Ti ricordi, mamma, di quanto mi piaceva il cinema? Passavo un sacco di tempo nel Cinema Edgard. Mi piaceva portarmi delle riviste per scambiarle all’entrata e avere un biglietto per una sessione mattutina. Quanto mi mancano, mamma, quanto mi mancano quei giorni in cui, come ripete quella canzone, ero felice e non lo sapevo. [Di me ormai neanche ti ricordi, Luiz Ruffato, citazione pagina 79]

Dopo la morte della madre, mentre sta riordinando le cose che le sono appartenute, Luiz trova una scatola con delle lettere: sono cinquanta, tutte conservate con cura, quasi non sembra che siano state lette. Dopo qualche esistazione, Luiz decide di leggere le missive che il suo fratello maggiore José Célio spediva alla madre mentre lavorava a Diamante, un paese molto lontano da Cataguases, dove viveva la famiglia. José Célio infatti era un emigrato, partito dalla regione di Minas Gerias per andare a far fortuna nelle fabbriche meccaniche della periferia di San Paolo.

Attraverso le commoventi lettere di José Célio ci viene aperta una finestra sul Brasile degli anni ’70, oppresso dalla feroce dittatura militare e assuefatta dal calcio e dalle Olimpiadi e dal consumismo crescente. José Célio, il figlio maggiore, ha deciso di partire per andare a lavorare a Diamante, privandosi a tutti gli effetti di una vita propria. Inizialmente, lavora tantissimo e molto duramente, per mandare a casa i soldi che servono alla famiglia per acquistare alimenti e materiali scolastici per i figli minori, Lucìa e Luizihno e i medicinali per il padre gravemente malato.

Il quartiere è tutto in costruzione, è impressonante. Le strade sono di terra, una polvere rossa che s’appiccica sui vestiti, e l’autobus che va in centro si chiama “polverbus”. Ho contato tre cantieri uno a fianco all’altro. Ho camminato e camminato e alla fine mi sono fermato a vedere una partitella e lì m’è salita una tristezza che non ti immagini, perché senti che non sei dei luogo, e guarda che era una bella giornata, il sole alto e gli ambulanti a vendere gelati e un mucchio di ragazzini in giro…  Allora ho pensato: anche se ti sforzi per adattarti, il nostro posto è uno solo, non c’è niente da fare. [Di me ormai neanche ti ricordi, Luiz Ruffato, citazione pagina 50]

Nelle lettere di José Célio traspare la voglia di aiutare la famiglia, il forte senso di sacrificio essendo il primogenito, ma vediamo anche quanto lui abbia voglia di costruire qualcosa di suo, di possedere una casa, sposarsi e avere dei figli. Spesso José Célio si schernische, dicendosi ignorante, in fondo è solo un operaio che lavora in una fabbrica di meccanica, ma leggendo le lettere invece si percepisce come sia un ragazzo molto sensibile e generoso.

Se all’inizio nelle lettere di José Célio si legge solo la voglia di lavorare e di non intromettersi nelle questioni politiche, col tempo assistiamo ad una presa di coscienza della propria condizione di operaio sfruttato dalla fabbrica e dalla dittatura. Passano gli anni, e con i viaggi faticosi tra San Paolo e Diamante, e in seguito tra Diamante e Cataguases per tornare a casa almeno un paio di volte all’anno, José Célio matura un nostalgico senso di straniamento totale: non sa più a chi appartiene, non è più un abitante della provincia ma non sarà mai un cittadino. Si sente drammaticamente alienato nella sua condizione solitaria di operaio che sopravvive lontano dalla famiglia.

Stavolta sono stato più in giro per la città, ho visto qualche amico, ne ho incontrati altri che stanno lavorando anche loro a San Paolo e la sensazione che mi resta è che non tornerò mai più. Questo è molto triste, perché qui non è casa mia. Ma oramai sento che anche lì non è più casa mia. Ossia, da nessuna parte è casa mia. [Di me ormai neanche ti ricordi, Luiz Ruffato, citazione pagina 88]

Presentando queste bellissime e toccanti lettere, Luiz fa rivivere quel fratello scomparso in giovane età, e ci presenta le gioie e le speranze ma anche i dolori e la consapevolezza che forse José Célio in cuor suo sapeva che non avrebbe mai più potuto tornare a Cataguases, dove non c’era lavoro, ma solo miseria e povertà. Lette quasi tutte d’un fiato, questa corrispondenza epistolare a senso unico (nel libro sono raccolte solo le lettere di José Célio, non ve n’è nessuna della madre), mi ha suscitato una serie di emozioni particolari e contrastanti: ho gioito con José Célio per i suoi piccoli successi, ma sono rimasta con l’amaro in bocca quando descrive le batoste che la vita aveva in serbo per lui e la sua famiglia.

E quando un libro, seppur molto particolare, mi coinvolge così tanto non posso far altro che consigliarlo ad altri lettori alla ricerca di letterature originali e di qualità. Non fermatevi mai alle apparenze, i buoni libri possono anche essere nascosti negli scaffali più bassi e oscuri: sta a voi riportarli alla luce.

Nella fotografia in cui siamo insieme, però, il tempo è presente: i tuoi occhi guardano il fotografo e quel che vediamo è l’immagine di qualcuno che sembrava sapere che non sarebbe mai cambiato […] Io sono invecchiato, siamo invecchiati tutti… Tranne tu, che resti con i tuoi 26 anni, e inesorabilmente rivivi nei miei ricordi. Luiz Ruffato [Di me ormai neanche ti ricordi, Luiz Ruffato, citazione pagina 128]

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