Fernando Aramburu | Patria

E, sì, cominciò ad andare in paese nel modo più discreto possibile, spesso in brutte giornate di pioggia e vento, quando è più probabile che le strade siano deserte, e pure quando i suoi figli erano occupati o in viaggio. Poi, magari, passava sette o otto mesi senza andarci. Scendeva dall’autobus fuori dal paese. Per non parlare con nessuno. Perché non la vedessero. Saliva per strade poco frequentate fino alla sua vecchia casa. Ci passava un’ora o due, a volte di più, guardando foto, aspettando che la campana della chiesa suonasse una certa ora, e dopo essersi assicurara che non c’era gente nelle vicinanze del portone se ne tornava da dove era venuta. Al cimitero non andava mai. Perché? Il Txato lo avevano seppellito a San Sebastiàn, non in paese (…) Bittori, nel cimitero di Polloe, durante la cerimonia di sepoltura aveva sussurrato a Xabier una cosa che lui non ha mai dimenticato. Che cosa? Be’, che più che seppellire il Txato, le sembrava che lo stessero nascondendo [Patria, Fernando Aramburu, trad. B. Arpaia]

L’ETA ha annunciato la fine della lotta armata: baschi che non sono così d’accordo, baschi che tirano un sospiro di sollievo. Bittori è contenta dell’annuncio dell’ETA? No. Sì. No, perché il Txato è morto, e morto resta. Sì, perché ora può sentirsi libera di tornare al paese dove hanno fatto fuori il Txato, quel pomeriggio di pioggia. E vuole scrivere a uno di quelli dell’ETA, quello che era stato visto il pomeriggio dell’attentato, proprio vicino al garage del Txato.

“Perché credi che sono ancora viva? Ho bisogno di quel perdono. Lo voglio e lo pretendo, e fino a quando non lo avrò non penso di morire.”
“Hai un orgoglio da far paura.”
“Non è orgoglio. Non appena metterete la lapide sulla tomba e sarò col Txato, gli dirò: quell’idiota si è scusato, adesso possiamo riposare in pace.” [Patria, Fernando Aramburu, trad. B. Arpaia]

Bittori sale sulla corriera e torna nel paese dove le hanno ammazzato il Txato. I suoi figli, Nerea e Xabier, non devono sapere che lei fa avanti e indietro dalla città al paese. Nel piccolo paese, la voce del ritorno di Bittori si sparge subito: quella là è tornata. Miren: ma quella che cosa vuole?, cosa deve dimostarci? Don Serapio, per cortesia, ci parli lei. Le dica, a Bittori, di tornarsene a San Sebastián e di lasciarci in pace, noi abbiamo i nostri problemi, che lei non pensi che non abbiamo problemi. Quella pazza.

Miren frigge pesce ogni sera, lascia le finestre aperte e il profumo si diffonde nell’aria carica di umidità. Andrà a piovere. Joxian, suo marito, rientra dall’orto (no, non è vero, era al bar, si sta grattando il fianco) e si siede in tavola senza lavarsi le mani. Miren è infuriata: ma cosa vuole quella? Joxian risponde che è libera di tornare a casa sua. No, Miren pensa che dovrebbe lasciarli in pace. Miren non ha tempo per sciocchezze. I suoi tre figli: Arantxa è su una sedia a rotelle dopo l’incidente a Maiorca, Gorka è andato lontano, non chiama mai e vive con un uomo (che vergogna!), Joxe Mari è in carcere.

“Leggi tutto quello che puoi. Accumula cultura. Più ne metti insieme, meglio è. Per non cadere nel buco in cui stanno cadendo in molti in questo paese”. [Patria, Fernando Aramburu, trad. B. Arpaia]

San Sebastián (fonte: CC BY 3.0, Wikipedia Commons)

Una volta sì che Miren e Bittori erano amiche, come erano amici il Txato e Joxian. Il Taxato che regala i gelati ai bambini; il Txato che compra due braccialetti uguali per Nerea e Arantxa. Cosa è successo tra loro? È l’ETA che si è messa in mezzo. La lotta armata va finanziata e l’ETA inizia a estorcere soldi al Txato, che ha una modesta ditta di autotrasporti.

Il Txato paga una volta e poi? E poi basta. Si rifiuta di pagare ancora: non vuole che i suoi soldi vengano usati per acquistare armi, fabbricare bombe, uccidere innocenti. Una notte iniziano ad apparire delle scritte contro il Txato. Insulti. Falsità. Cose cattive, insomma. È in quel momento che Miren e Joxian si allontanano dal Txato e da Bittori: chi viene toccato dall’ETA è infetto. È pericoloso. È meglio lasciarli soli.

“È morto il Txato.”
Era da molto tempo che non pronunciava il soprannome dell’amico di altri tempi in quella casa.
“Non dire stronzate.”
Joxian rimase per un istante immobile. Come un palo della luce. Non sbatteva nemmeno le palpebre. E senza volta lo sguardo verso la moglie, chiese com’era successo.
“Be’, come succedono queste cose. Di sorpresa non l’hanno potuto prendere. Glielo stavano già annunciando con le scritte (…) La guerra è così, fa dei morti.” [Patria, Fernando Aramburu, trad. B. Arpaia]

Anche Miren e Joxian vengono toccati dall’ETA: Joxe Mari diventa un fanatico, un militante, Gora ETA. Un ragazzo così giovane, così ingenuo. Ma è sicuro di ciò che sta facendo? Sì. No. Sì, Euskal Herria! No, sto trascorrendo gli anni migliori della mia vita nascosto in tuguri col terrore di essere beccato dalla polizia spagnola. E se mi arrestano? Se mi arrestano ciao.

Però un uomo può essere una nave. Un uomo può essere una nave con lo scafo d’acciaio. Poi passano gli anni e si formano delle incrinature. Di lì passa l’acqua della nostalgia, contaminata di solitudine, e l’acqua della consapevolezza di essersi sbagliato e di non poter rimediare all’errore, e quell’acqua che corrode tanto, quella del pentimento che si sente e non si dice per paura, per vergogna, per non fare brutta figura con i compagni. E così l’uomo, ormai nave incrinata, andrà a picco da un momento all’altro [Patria, Fernando Aramburu, trad. B. Arpaia]

Murales a San Sebastián ( fonte: Joxemai, Opera propria, CC BY-SA 4.0, Wikipedia Commons)

Le vittime spesso danno più fastidio dei carnefici. L’ETA ha colpito tutti nei Paesi Baschi. Questi sono i due messaggi che il magnifico romanzo “Patria” di Fernando Aramburu (trad. B. Arpaia, Guanda, 632 pagine, 19 €) mi ha trasmesso.

Bittori è una vittima, è la vedova del Txato, e il suo ritorno nel paese dove si è svolto l’attentato al marito, mette in subbuglio tutti. Bittori è alla ricerca della verità e per ottenerla è disposta a sentirsi vivisezionata dalla gente del paese. A Bittori non importa se le persone la prendono per matta perché va spesso al Polloe a parlare col Txato, si siede sulla tomba anche se piove.

L’ETA ha colpito tutti nei Paesi Baschi: ha colpito innocenti come il Txato e la sua famiglia, si è insinuata nelle menti acerbe dei giovanissimi come Joxe Mari, che per ignoranza e poca capacità di resistere, hanno ceduto ai seducenti inviti dei populismi dell’ETA entrando nella milizia armata. Così, anche la famiglia di Joxe Mari è stata colpita, indirettamente dall’ETA.

Con “Patria” Fernando Aramburu è riuscito scrivere un vero e proprio capolavoro della letteratura: con l’ausilio di salti temporali, cambi di tempi verbali, tono dal formale al colloquiale, descrizioni minuziose dei luoghi e soprattutto dei sentimenti delle persone, carnefici e vittime. Leggendo ci si sente totalmente immersi nella storia, si vengono a conoscere i retroscena, i punti ciechi di ogni personaggio.

“Patria” è un romanzo che lascia il segno, dipingendo con maestria gli anni più difficili dei Paesi Baschi, e mostra come tutti gli uomini possano cambiare, nonostante il momento storico nel quale sono immersi.

Titolo: Patria
L’Autore: Fernando Aramburu
Traduzione dallo spagnolo: Bruno Arpaia
Editore: Guanda
Perché leggerlo: perché “Patria” è un libro che dipinge un’epoca vicina a noi che non deve essere ignorata.

(© Riproduzione riservata)

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