Intervista a Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, Edizioni Black Coffee

Nel marzo 2017 si è affacciata al panorama editoriale italiano una nuova casa editrice, guidata da due giovani traduttori tostissimi, vulcanici e con un progetto volto a portare in Italia la letteratura nordamericana contemporanea, in particolare opere d’esordio. Durante questi primi mesi di attività, i libri editi da Edizioni Black Coffee hanno conquistato i lettori italiani, me compresa.

Grazie alla collaborazione con Good Book.it – ringrazio Giulia Cuter per avermi coinvolta – ho avuto la possibilità di intervistare Sara e Leonardo riguardo al loro progetto editoriale.

Buona lettura!

Edizioni Black Coffee, progetto di letteratura nordamericana contemporanea.

1 Come nasce la passione per gli Stati Uniti e la letteratura nordamericana, tanto forte averla fatta diventare il vostro mestiere?

La mia passione è sbocciata all’università. Prima leggevo solo classici, per lo più inglesi. Poi ho iniziato a seguire un corso di Franco Minganti, grande studioso ed esperto di letteratura angloamericana, e mi si è aperto un mondo. Gli Stati Uniti mi avevano sempre affascinato, ma non tanto per la loro produzione letteraria. Erano i loro spazi sterminati, più di ogni altra cosa, a chiamarmi. Volevo sapere cosa si provasse ad abitarci, a passarci attraverso, volevo uscire dalla claustrofobia della città europea e perdermi. Così sono partita, e ogni volta che tornavo portavo con me un libro che mi aveva colpito. A casa ne traducevo qualche passo – perché la mia più grande passione è, e sempre sarà, la traduzione – e lo proponevo a varie case editrici. In cambio ricevevo solo rifiuti. Ricordo però che in quel periodo affinai un certo gusto, capii cosa c’era in quella letteratura che non trovavo altrove.

Col passare del tempo, la smania di diventare parte attiva nel processo di traduzione e pubblicazione di certe opere non accennava ad andarsene. Per farmela passare, ho dovuto incontrare Leo (lui è quello pratico, io la paranoica). Da quando l’ho conosciuto le parole sono diventate azioni. Negli Stati Uniti abbiamo iniziato ad andarci insieme: trascorrevamo ore in libreria, a cercare la novità, qualcosa che ci stupisse. Non ci rendevamo conto che nelle opinioni che ci scambiavamo al ritorno dal viaggio c’era il germe della casa editrice che avremmo fondato. Non c’era consapevolezza, solo stupore di fronte a quella letteratura che si rinnovava all’infinito e continuava a influenzare il resto del mondo. Dedicarle la nostra vita è stata una conseguenza naturale.

2 La casa editrice Black Coffee si è affacciata al panorama editoriale italiano con un progetto preciso, deciso ad occuparsi di una particolare nicchia della letteratura nordamericana. I libri pubblicati negli USA sono tantissimi: ci raccontate come scegliete quelli da pubblicare?

Il punto è che abbiamo in mente un discorso sull’America contemporanea e i libri che pubblichiamo sono tutti tasselli di quel discorso. Non abbiamo, ovviamente, la presunzione di dire «questo è il meglio della letteratura americana di oggi» – il nostro è solo uno dei tanti percorsi possibili. E dal momento che ci piace rischiare, i nostri libri hanno in comune una certa spericolatezza linguistica e tematica.

Quando mi imbatto in un potenziale Black Coffee lo capisco subito: può essere il libro più strambo e sconosciuto della Terra, ma ha perfettamente senso affiancato agli altri. Pubblichiamo esordi, ma non badiamo troppo al successo che hanno riscosso in patria. Se crediamo che per il lettore italiano rappresentino una novità oppure offrano un punto di vista originale, li pubblichiamo. Stessa cosa per i recuperi dal passato: se un certo autore non è arrivato in Italia, non stiamo a chiederci «Come mai? Troppo rischioso?». Se ai nostri occhi ce n’è bisogno, lo ripeschiamo.

Le prime tre pubblicazioni della casa editrice Edizioni Black Coffee.

3 Al momento in catalogo avete cinque libri: due romanzi, due raccolte di racconti e una non-fiction, tutti scritti da donne. Quale tra queste pubblicazioni vi rende più orgogliosi e perché?

Siamo fieri di ogni singolo titolo che siamo riusciti a portare in Italia. Alexandra Kleeman, Bonnie Nadzam, Mary Miller e Amy Fusselman sono autrici molto giovani ed è una grande soddisfazione vederle crescere. Può darsi che la loro scrittura non sia ancora matura, ma crediamo che sia giusto ascoltarle e seguirle nel loro percorso. Diverso è il caso di Joy Williams: portare i suoi racconti in Italia è stata una vera conquista. Avevamo di fronte un’autrice molto nota e apprezzata negli Stati Uniti, un mostro sacro del racconto americano, ed eravamo un po’ in soggezione. Quando Joy ha accettato la nostra proposta, quasi non ci credevamo: una casa editrice così piccola che pubblicava una scrittrice così importante… In questo senso forse L’ospite d’onore è il nostro orgoglio più grande.

 

4 Parliamo dell’ultima novità “L’ospite d’onore”, raccolta di racconti di Joy Williams. Sara, su Instagram hai scritto che per pubblicarlo avete “sputato sangue”: ci racconti un aneddoto legato a questa vostra fatica?

Non c’è un aneddoto in particolare, è stato più un accumularsi di tante situazioni difficili… Come dicevo, Joy Williams era una scrittrice ben al di là della nostra portata – e delle nostre finanze: acquisire i diritti di The Visiting Privilege ha implicato uno sforzo economico non indifferente! Ne abbiamo parlato per giorni e alla fine ci siamo convinti che per Black Coffee sarebbe stato un passo importante. Una volta acquisiti i diritti, poi, ci siamo resi conto che, per comunicare a dovere un’autrice di quella portata, sarebbe stato necessario mettere in campo tutte le nostre forze – e anche di più. Sarebbe stata un’impresa titanica, un vero e proprio investimento. Anche della traduzione ci siamo occupati noi, e neanche in questo caso è stata una passeggiata: i racconti sono tanti e la difficoltà elevata. Uniformare le nostre due voci allo stille dell’autrice ha richiesto un impegno disumano. Per un po’ Joy Williams è stata una presenza palpabile in casa nostra!

Questo, insomma, ha significato «sputare sangue», ma non rimpiangiamo nulla. Quando il libro è arrivato in redazione abbiamo provato una soddisfazione immensa. Mai avremmo creduto di essere capaci di tanto. Ora sta a voi giudicare se abbiamo fatto un buon lavoro.

Leonardo Taiuti e Sara Reggiani, editori e traduttori di Edizioni Black Coffee.

5 Come descrivereste il primo anno di vita di Black Coffee? E quali sono i progetti per il 2018?

È stato un anno entusiasmante: dalla pubblicazione del primo libro, a marzo, abbiamo fatto passi da gigante e ricevuto tante conferme. Il progetto piace e suscita curiosità: il primo obiettivo per noi è raggiunto. Il 2018 sarà l’anno del consolidamento: ora che siamo riusciti a far passare il messaggio, dobbiamo tenere fede alla parola data e restare coerenti con le scelte operate finora. Così avremo ancora esordienti e recuperi dal passato, racconti e romanzi. A maggio pubblicheremo l’opera di un autore, Ben Marcus, che siamo ansiosi di strappare al silenzio in cui è stato inspiegabilmente relegato nel nostro Paese. E poi abbiamo in serbo una piccola novità in pieno spirito Black Coffee: da febbraio inizieremo a pubblicare Freeman’s, una rivista letteraria curata dall’ex direttore di Granta, nonché noto critico e scrittore, John Freeman. Questa scelta si inserisce in un discorso già avviato (tramite la collaborazione con The Believer e Hobart di cui proponiamo una selezione di contenuti sul nostro sito) sulla vivace realtà delle riviste letterarie americane: vogliamo fornire una cornice e un contesto ai libri che proponiamo in catalogo, oltre ad aprire una piccola finestra su un strumento di diffusione culturale cui purtroppo, in Italia, si dà troppo poco peso.

*

Ringrazio Sara e Leonardo per la disponibilità nell’intervista, e Giulia Cuter di GoodBook.it per avermi dato l’opportunità di realizzare questo pezzo.

(© Riproduzione riservata)

Un pensiero su “Intervista a Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, Edizioni Black Coffee

  1. paolalorenzini ha detto:

    Ovviamente quando hai scelto le domande per l’intervista non potevi prevedere le risposte, ma mi piacerebbe sapere qualcosa di più dell’affermazione «capii cosa c’era in quella letteratura che non trovavo altrove», perché è proprio quello che mi sfugge di chi ama tanto la letteratura americana.

    Piace a 1 persona

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.