Mio marito aveva sempre sognato di vivere in una capanna nell’Artide. Ogni volta che a casa, in Europa, c’era qualcosa che non andava (…) diceva che una cosa del genere non sarebbe mai successa in una capanna nell’Artide. Al termine di una spedizione scientifica era rimasto sull’isola di Spitsbergen (…) Dall’estremo Nord mi arrivarono lettere e telegrammi: “Molla tutto e raggiungimi nell’Artide”
Una donna nella notte polare, Christine Ritter, trad. S. Forti
Nel 1934 Christiane Ritter decide di lasciare l’Europa continentale, imbarcarsi e raggiungere il marito nell’Artide. Sono diversi anni che il marito di Christiane gironzola nell’Artide, unito a spedizioni scientifiche e ad esploratori del Grande Nord; dopo aver ricevuto numerose lettere contenenti gli inviti per raggiungerlo, Christiane prende coraggio e parte.
La donna sale su una nave passeggeri che veleggia verso Nord seguendo il profilo frastagliato della Norvegia. Man mano che ci si avvicina a Nord, le persone sono sempre di meno, molti sono scesi o si sono fermati prima per ammirare la maestosità dei fiordi norvegesi. Christiane non scende e prosegue il viaggio, che la conduce alle isole Svalbard, oltre il 70° parallelo Nord.
Il marito e l’amico Karl attendono Christiane sulla terraferma, mentre il capitano dell’imbarcazione che ha condotto lassù frau Ritter, la avvisa che tornerà un anno dopo esatto. Appena la donna mette piede sulla terra dura e congelata, viene presa dalle forti emozioni.
Com’è silenziosa l’isola quando hai ancora nelle orecchie il rimbombo dei motori della nave. Le onde si scagliano monotone contro la spiaggia rocciosa, fredde e indifferenti (…) Il paesaggio è sconfortante. Non c’è traccia di alberi o cespugli, tutto è grigio, spoglio e pietroso. E’ un mare di sassi la piana sconfinata: sassi fino alle montagne friabili, sassi fino alla costa friabile, un quadro desolato di morte e disfacimento.
Una donna nella notte polare, Christine Ritter, trad. S. Forti
Christiane viene portata nella capanna che per un anno sarà la sua casa. Gelida e tremolante, la capanna sorge in mezzo al nulla: come farà Christiane a non perdersi circondata da tutta questa tremenda desolazione? Come farà a non impazzire nel grande vuoto del Nord?
I pasti sono monotoni – carne di foca, grassa e nauseante, fiocchi di avena, pane duro -, il paesaggio è monotono, la vita dell’Artide è monotona. Christiane cucina, pulisce, effettua piccoli lavoretti di sartoria per tenersi impegnata e non ammattirsi, soprattutto nei periodi in cui gli uomini la lasciano nella capanna per le loro battute di caccia.
Nello stesso tempo, Christiane scopre la bellezza dell’Artico: gli animali che lo popolano, nonostante il clima avverso; il paesaggio, che solo apparentemente è sempre uguale; le tempeste improvvise e violente; il cielo rischiarato dall’aurora boreale. E ancora, le stagioni inclementi e i fenomeni della luce e del buio perenne, come la notte polare: con orrore Christiane si accorge dell’inizio della notte polare: il sole, una mattina di novembre, fa un breve saluto verso il mezzogiorno, per poi scomparire fino a febbraio inoltrato.
Qui le apparenze non contano, tutto ruota attorno alla sostanza nuda e cruda: la capanna è un rifugio protetto senza il quale congeleremmo, e il cibo primitivo volenti o nolenti ce lo facciamo piacere, perché ci garantisce la sopravvivenza (…) Non so più quanti giorni siano che non usciamo, e ho perso il conto delle ore che gli uomini trascorrono ogni giorno a spalare la neve per tenere più o meno libera la porta di ingresso.
Una donna nella notte polare, Christine Ritter, trad. S. Forti
Malinconia, paura, curiosità, stupore: le emozioni nell’Artide sono portate all’ennesima potenza. La natura è la vera padrona lassù, gli uomini non sono altro che piccoli puntini in balia delle tempeste e dei climi estremi.
Christiane ama e odia l’Artide: ama i colori delle aurore boreali, odia le tempeste improvvise che accumulano talmente tanta neve da intrappolarla nella capanna. La donna impara che la natura ha i suoi tempi e va rispettata; sebbene possa sembrare strano, anche nel luogo dei ghiacci quasi perenni vi è una stagionalità che va seguita.

“Una donna nella notte polare” di Christiane Ritter, tradotto da Scilla Forti per Keller editore, è un memoir di viaggio che contiene interessanti informazioni riguardo alla natura e all’adattamento nell’Artide da parte degli uomini negli anni Trenta del secolo scorso.
Scritto in prima persona, narrato dalla Ritter, che ne è la protagonista, “Una donna nella notte polare” coinvolge e affascina, senza dubbio.
Il testo ha il pregio di aprire lo sguardo di chi legge su un mondo non troppo lontano da noi ma molto diverso, con le sue regole a volte decisamente severe e crudeli nei confronti degli esseri viventi che lo popolano, uomini compresi ovviamente.
Contiene belle e struggenti descrizioni dell’Artide, uno spazio sempre più minacciato dall’aumento globale della temperatura terrestre. Qui ci rendiamo conto, soprattutto quando la Ritter parla della stagionalità dell’Artico, di quanto siano delicati questi luoghi e di quanto poco basti per distruggerli o portarli all’irreversibile fine.
*
Per approfondire:
Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability
Titolo: Una donna nella notte polare
L’Autrice: Christiane Ritter
Traduzione dal tedesco: Scilla Forti
Editore: Keller editore
Una recensione ammaliante. Se avessi un fisico appropriato sarebbe in un posto così che mi piacerebbe trascorrere del tempo. Tutto diverso da questa normalità. Dopo lo stupirsi sarebbe un ottimo antidoto contro la perdita che stiamo vivendo. Grazie
"Mi piace"Piace a 1 persona
Un libro he leggerò sicuramente.
"Mi piace"Piace a 1 persona