Amir Tag Elsir | Ebola ’76

Contagio. Contagio letale, inarrestabile.
Questa era l’unica conclusione cui si giungeva in città.
Questo era ciò che la gente gridava in ogni luogo ad alta voce. Al mercato, tutte le attività commerciali erano sospese. Soltanto un gruppetto sparuto di attività commerciali rifiutava di arrendersi di fronte alle voci terrificanti, continuando la propria corsa al guadagno (…) Nella zona industriale, sulle fabbriche gravava un’atmosfera stagnante. Soltanto la catena di montaggio di Riyyak era attiva come un alveare, sputando mascherine senza sosta (…) Scuole e uffici pubblici erano stati abbandonati, mentre tutti quelli che ne avevano i mezzi e la volontà si preparavano a fuggire, prima che le frontiere venissero chiuse e la città fosse isolata dal resto del mondo.

Ebola ’76, Amir Tag Elsir, trad. F. Pistono

Sudan del Sud, 1976. Lewis Nawa è un operaio tessile di mezz’età che vive a Nzara, nel Sudan del Sud, è sposato, non ha figli, ma ha un’amante a Kinshasa, in Congo. Grazie alla scusa del lavoro, Lewis talvolta lascia Nzara, attraversa la frontiera con il Congo e dopo un lungo, estenuante viaggio raggiunge la sua amante a Kinshasa.

Nell’agosto del 1976 Lewis affronta l’ultimo viaggio a Kinshasa: la sua amante, la bella Ilina, è morta. Il male che ha ucciso la giovanissima amante è un piccolo, letale virus invisibile: Ebola.

Mentre Lewis piange sulla tomba di Ilina, egli non si rende conto di essere letteralmente circondato da Ebola; il virus letale vorrebbe ghermire proprio lui, l’operaio sudanese, perché Ebola necessita di infettare sempre più persone e le piace l’idea di viaggiare per una moltitudine di chilometri; un focolaio in Sudan del Sud le sarebbe gradito.

Ebola dalla sua ha l’ignoranza degli abitanti di Kinshasa: tanti trascurano i proclami del governo, non attuano misure di sicurezza e igiene pubblica. Molti congolesi sono convinti che il gran numero di persone morte derivi dalla maledizione di uno stregone, così si dotano di semplici amuleti e la infida Ebola gongola.

Lewis, addolorato, vaga per Kinshasa mentre Ebola lo segue. Cerca di infettarlo in tanti modi, ma Lewis la scampa; finché l’operaio, desideroso di un’avventura prima di tornare dalla moglie in Sudan, incontra una ragazza che gli offre i suoi servigi. Ebola è folle di gioia: ha giusto infettato da poche ore la prostituta, finalmente entrerà anche nel corpo di Lewis.

In un torrido pomeriggio del mese di agosto del 1976 il virus letale Ebola cominciò a bracciare Lewis Nawa, ferocemente determinato a infiltrarsi nel suo sangue (…) Ebola era dappertutto, vicinissima, lo assediava in attesa del momento adatto per piombargli addosso (…) Il virus assassino non sapeva esattamente cosa l’attirasse tanto in Lewis Nawa, ma qualcosa in quell’uomo l’aveva precipitato in uno stato di estrema agitazione, era risoluto a penetrare nel suo sangue per poter emigrare in un altro paese.

Ebola ’76, Amir Tag Elsir, trad. F. Pistono

Così Lewis ritorna a Nzara, Sudan del Sud, a bordo di un autobus carico di persone. Tra le quali ci sono anche un musicista cieco, con la sua assistente, il quale ha in programma di realizzare un concerto proprio a Nzara.

Quando ritorna a casa, Lewis non sa di avere in corpo l’invisibile nemico. Non ha colpa, Lewis, quando infetta la moglie e i colleghi di lavoro della fabbrica tessile. A loro volta, i contagiati da Lewis contagiano altre persone e in poco tempo Nzara piomba nell’emergenza.

Qui a Nzara Ebola può correre veloce, tanto quanto in Congo. Anche gli abitanti di Nzara non capiscono cosa stia succedendo, non credono ai medici che parlano di virus, pensano sia opera di maghi o stregoni; indossano talismani e non mascherine. Continuano a vivere la loro vita come nulla fosse, rischiando più volte al giorno il contagio.

I malati gravi, o gravissimi, affollano il piccolo ospedale. Il personale medico viene colto alla sprovvista e collassa in pochissimi giorni. Uno dei due direttori sanitari contrae Ebola, è fuori uso. La città inizia a capire qual è la vera potenza di Ebola.

Il giorno seguente, la parola epidemia cominciò a risuonare in ospedale. All’inizio circolava in silenzio, il termine aleggiava negli animi inquieti dei medici. Poi, gradualmente, i dottori iniziarono a pronunciarlo fra loro e, in breve tempo, l’intero ospedale sussurrava quella parola a fior di labbra (…)
Epidemia, epidemia, epidemia.

Ebola ’76, Amir Tag Elsir, trad. F. Pistono

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Cimitero in Congo durante la prima ondata dell’epidemia di Ebola, 1976 (fonte: Wikipedia)

Ebola ’76” di Amir Tag Elsir, tradotto dall’arabo da Federica Pistono per Atmosphere libri, è un romanzo breve ma incisivo scritto nel 2012. Oltre ad essere un affermato scrittore – ha all’attivo numerosi romanzi, racconti e poesie – Amir Tag Elsir è un medico chirurgo che tutt’oggi vive nel Qatar.

Nell’introduzione al romanzo, l’Autore sottolinea come abbia voluto romanzare l’arrivo di Ebola nel Sudan meridionale partendo da un fatto reale, ma creando una fitta rete di eventi e personaggi chiaramente immaginari.

Ebola è una malattia infettiva tristemente nota per il suo ritorno ciclico in diverse Stati africani, presentandosi in focolai fortunatamente spesso domati; descritta per la prima volta nell’agosto del 1976, in Congo, Ebola è una febbre emorragica di stampo virale che presenta una mortalità elevatissima.

Le sue origini sono ancora in parte ignote, sebbene sia chiaro agli scienziati che si tratti di una zoonosi: con elevate probabilità, i primi a infettarsi furono un gruppetto di ragazzi che mangiò le carni di un primate morto di Ebola. Il primate, a sua volta, è possibile che avesse contratto Ebola da un altro animale selvatico (per un degno approfondimento su Ebola, consiglio il saggio “Spillover” di David Quammen).

Dal villaggio ove vivevano i ragazzi, Ebola ha iniziato la sua diffusione. A portare Ebola in Sudan si pensa fosse stato un operaio del settore tessile che dal Congo, appunto, aveva fatto ritorno a casa in Sudan.

Contestualizzata l’epoca, torniamo al romanzo. Amir Tag Elsir immagina come Ebola sia giunta nel Sudan meridionale, attraverso appunto un operaio tessile infetto. Portata Ebola in città, chiaramente si scatena il caos. Pochi credono alla storia del virus letale, le credenze popolari e la magia sono ancora radicate nella società sudanese dell’epoca.

L’ospedale di Nzara non è attrezzato per un’emergenza di tale portata, tanto che uno dei due medici muore; nessuno inizialmente dispone di mascherine o altri dispositivi protettivi. L’accorto e avido proprietario della fabbrica tessile di Nzara smette di produrre abiti e converte tutta la produzione in mascherine protettive di stoffa, diventando ricco.

Quando i morti iniziano ad essere troppi e diventa troppo pericoloso maneggiarli, per via dell’infezione, questi vengono presi e messi in grandi fosse comuni; talvolta succede di sentire ancora dei lamenti, nelle fosse: non si attende che tutti siano morti per gettarli dentro. Le autorità passano a disinfettare strade, piazze, spazi comuni. Ma non è sufficiente, il contagio si propaga ed Ebola miete sempre più vittime.

Tra i personaggi non esiste alcuna forma di solidarietà. L’epidemia non rende migliore nessuno di loro, anzi. Rende più diffidenti, avidi, cattivi, inclini alle attività illecite pur di salvarsi la pelle.

Il finale del romanzo è aperto. Non rassicura, non conforta, non tranquillizza. Gli elicotteri dell’esercito che infine volteggiano su Nzara non sono venuti per aiutare i medici o le povere vittime di Ebola; sono arrivati per evacuare gli europei bianchi. Ai poveri non resta che aggrapparsi ad una flebile speranza.

Titolo: Ebola ’76
L’Autore: Amir Tag Elsir
Traduzione dall’arabo: Federica Pistono
Editore: Atmosphere libri casa editrice
Perché leggerlo: per arricchirsi leggendo un ottimo romanzo di un Autore proveniente dal Sudan, per vedere – ancora una volta – quanto sia facile cadere negli stessi errori e quanto sia universale il comportamento dell’uomo di fronte a immani tragedie

(Riproduzione riservata)

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