Ivica Đikić | Cirkus Columbia

E sulla maledetta giostra si sedette per primo Divko Buntić. Si presentò all’alba del giorno seguente con le tasche piene di soldi, diede al ragazzo della giostra un rotolo di banconote e ordinò che la macchina non fermasse finché fosse bastato il denaro (…) Intorno a mezzogiorno per tutta la città già si raccontava che Divko Buntić era uscito di senno (…) e poi si diceva ancora che teneva sempre gli occhi chiusi, che la gente lo chiamava invitandolo a scendere, ma lui era come se non sentisse, e che continuava a girare, a girare, a girare… [Cirkus Columbia, Ivica Đikić, trad. S. Ferrari]

Erzegovina, aprile 1998. Il sanguinoso conflitto che ha devastato i Balcani sembra essere terminato. Sebbene sia difficile dimenticare ciò che è successo e sia impossibile scordare le persone che non ci sono più, nel paese di Divko Buntić arriva il circo.

C’è bisogno di normalità, di quotidianità. Il muezzin torna a richiamare i fedeli dai minareti delle moschee. I musulmani tornano al paese. Tornano anche i serbi, ma loro solo per controllare lo stato delle proprietà per poi venderle. I musulmani, invece, intendono restare, ricostruirsi una vita vera e lasciarsi alle spalle l’etichetta di profugo. I croati le ostilità le hanno cessate, per forza di cose, ma alcune loro idee sono ferme; Ranko Ivanda, per dirne uno, non vuole né i turchi, né i cetnici, né altri animali nel suo locale.

Gli abitanti del piccolo paesino hanno voglia di divertirsi e Divko Buntić è colui che rompe il ghiaccio, salendo per primo sulla giostra. Non scenderà più, se non per svolgere le fondamentali funzioni vitali. La giostra diventa per Divko l’unica fonte di gioia. Non importa se Martin è tornato, se la salute della piccola Anka peggiora, se la giovane moglie Azra è disperata, se il nazionalismo in realtà sobbolle pian piano, ancora, nonostante i risultati di qualche anno prima. A Divko importa solo della sua giostra. Ma come è arrivato a questo punto?

Era il 14 luglio 1991m verso sera, e soffiava un po’ di quella fresca brezza dai monti quando in via Djuro Pucar Stari fece il suo solenne ingresso una Mercedes bianca con targa tedesca [Cirkus Columbia, Ivica Đikić, trad. S. Ferrari]

Divko Buntić torna dalla Germania nel 1991. Con sé porta una macchina costosa, una nuova e giovane moglie, musulmana, di nome Azra e un magnifico gatto chiamato Bonny. Una tragica notte, il figlio di primo letto di Divko, Martin, lascia inavvertitamente una finestra aperta e Bonny scompare nel nulla.

Il paese canzona Divko: ma cosa si è affezionato tanto ad un gatto? Divko mette in palio un cospicuo premio in denaro per chi troverà Bonny. Vivo o morto. I ricchi possono permettersi simili lussi.  Bonny viene ritrovato da un giovanotto che ha la mania di rubare quaderni di pelle a spese del governo comunista, e diventa improvvisamente ricco.

Corre nell’aria una strana elettricità, come poco prima dello scatenarsi di una tempesta. Si cerca di vivere normalmente, ci si innamora – anche clandestinamente; si scrivono appunti per non dimenticare la propria giovinezza; ci si dà alla macchia prima di essere arruolati (sì, la guerra pare imminente); ci si scontra con i propri concittadini perché ci si sente superiori agli altri.

Ma la guerra, proprio come una tempesta violenta improvvisa, si abbatte su tutti. Nessuno escluso. E tutti dovranno prendere delle decisioni importanti.

La guerra cominciò durante l’ora di storia dell’arte. Entrò nella nostra classe verso le otto di quella tetra mattinata, era un po’ nervosa e le mani le tremavano leggermente. Aveva le sembianze del preside del nostro liceo (…) e disse così: “Cari studenti, al giudicare da tutti i sintomi, la guerra è cominciata anche da noi. Cercate di raggiungere con precauzione le vostre case, poi vi faremo sapere quando sarà il caso di ritornare sui banchi. Arriverci!”. Poi la guerra si propagò (…) Era il 2 aprile 1992 (…) Cominciarono a cadere le granate e noi ad avere paura. Questo più o meno un mese dopo [Cirkus Columbia, Ivica Đikić, trad. S. Ferrari]

Photo by Josh Edgoose on Unsplash

Cirkus Columbia” di Ivica Đikić (tradotto da Silvio Ferrari per Bottega Errante) è un romanzo che, per via dei contenuti e dello stile, non può lasciare indifferenti. Analizziamolo in dettaglio.

Per prima cosa, il contesto. Il romanzo, sebbene sia breve, abbraccia un lasso di tempo di circa sette anni, dal 1991 al 1998, includendo l’anno appena precedente allo scoppio della guerra dei Balcani e comprendendo i quattro anni successivi alla fine delle ostilità. Sullo sfondo, spesso con pochi cenni ma dettagliati, ci sono un paese dell’Erzegovina e la città di Zagabria.

La mia curiosità, quando mi sono approcciata a questa lettura, era dovuta principalmente al fatto che non avevo mai letto un romanzo scritto da un autore bosniaco e avevo intenzione di approfondire i risvolti umani della guerra dei Balcani. La guerra, nel romanzo, c’è ma spesso è come lo sfondo sul quale si muovono i personaggi: solo accennata. Eppure, nel suo essere solo accennata, leggendo si percepisce il peso che ha rivestito il conflitto per i personaggi del romanzo.

Chi la descrive meglio, e davvero in pochissimi paragrafi, è Janko Ivanda, il giovanotto che ha per caso trovato Bonny. Janko cura una serie di appunti per quattro anni e quando racconta come la guerra è entrata nella sua vita, lo fa in un modo incredibilmente angosciante e sintetico: il preside della scuola manda a casa gli studenti. Per il resto, sarà Martin a raccontare come si vive a Zagabria, dove ha riparato, durante la guerra. E poi, ci sarà finalmente il dopo. Il ritorno dei musulmani al paese, il ritorno del circo, dei divertimenti e della spensieratezza.

Lo stile col quale Đikić racconta la storia merita una menzione speciale. È come una sorta di matrioska, dove all’interno di una cornice c’è un evento e al suo interno un altro evento, il tutto volto ad arrivare alla comprensione il più possibile totale delle vicende che hanno interessato i personaggi.

Ma non è solo l’idea di raccontare storie attraverso altre: l’idea geniale di Đikić è stata quella di suddividere in cinque parti il libro e affidare la narrazione a narratori diversi. All’inizio c’è semplicemente un narratore onniscente; poi ecco gli appunti del giovane Janko; le lettere di Martin al sindaco del paese; di nuovo la voce fuori campo del narratore onniscente, infine di nuovo Martin.

Il risultato, “Cirkus Columbia”, non è altro che un mosaico di elementi uniti l’uno accanto all’altro, che mostrano l’immagine di una comunità spaesata, confusa e tormentata sia prima che dopo la guerra. Una comunità che cerca con forza e con coraggio la proprio identità, e sebbene sembri non trovarla, non smette di cercarla.

Titolo: Cirkus Columbia
L’Autore: Ivica Đikić
Traduzione: Silvio Ferrari
Editore: Bottega Errante
Perché leggerlo: perché “Cirkus Columbia” è un romanzo originale, geniale e unico; rappresenta una parte dell’Europa che tendenzialmente si ignora, e non solo in ambito letterario. E’ un’occasione per conoscere la letteratura bosniaca e per immedesimarsi – o almeno provarci – in chi ha vissuto da vicino una guerra

(© Riproduzione riservata)

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