Hisham Matar | Il ritorno. Padri, figli e la terra fra di loro

Tutt’a un tratto pensavo che tornare dopo tanto tempo era una cattiva idea. La mia famiglia se n’era andata nel 1979, trentatre anni prima. Questo era lo iato che divideva l’uomo dal ragazzino di otto anni che allora ero (…) Torna e dovrai affrontare l’assenza o il disfacimento di ciò che più amavi (…) Parti e ogni legame con l’origine sarà reciso. Sarai come un tronco morto, duro e cavo. Cosa fai quando non puoi partire e non puoi tornare? [Il ritorno, Hisham Matar, trad. A. Nadotti]

È il 2012 quando Hisham Matar ritorna in Libia, accompagnato dalla moglie Diana e dalla madre. Sono trascorsi trentatre anni dalla sua ultima volta in Libia, all’epoca era un bambino di nove anni. Trentatre anni sono un lasso di tempo lunghissimo, durante il quale sono accadute molte cose: le più importanti, per Hisham, sono state l’arresto e l’incarcerazione di suo padre Jaballa Matar, orgoglioso oppositore del regime di Gheddafi.

Hisham aveva diciannove anni e si trovava a Londra quando suo padre è stato catturato. Jaballa fu imprigionato ad Abu Salim, una delle numerose prigioni presenti in Libia; un dettaglio che la famiglia Matar riesce a scoprire, ma  da un certo punto in poi i contatti tra Jaballa e la famiglia si interrompono.

Le lettere che il padre scriveva non arrivano più e le notizie, passate di bocca in bocca attraverso gli angusti e luridi corridoi della prigione di Abu Salim, hanno iniziato a rarefarsi e diventare imprecise. È probabile, ma non certo, che Jaballa sia morto nel 1996 durante un’esecuzione di massa nella prigione di Abu Salim: ancora oggi non si conosce il destino dei prigionieri, e il padre di Hisham potrebbe essere uno dei 1270 uomini uccisi quel giorno.

Nel 2011 l’ondata di proteste e scioperi che ha dato il via alla primavera araba ha travolto anche la Libia, mettendo fine ad una dittatura cruenta e fin troppo duratura. La primavera araba in Libia ha portato una ventata di novità, di libertà ma anche di incertezza e paura. Muammar Gheddafi è stato destituito e ucciso, ma uno dei suoi figli in quegli anni godeva ancora di stima e potere: ed è proprio a Seif Gheddafi che Hisham inizialmente si rivolge per chiedere informazioni riguardo al padre.

Per scoprire che cosa è successo a Jaballa Hisham, infatti, non ha altra scelta che tornare in Libia e parlare con Seif Gheddafi. Hishma si muove tra le città di Tripoli e Bengasi per parlare con amici e parenti, questi ultimi imprigionati anch’essi ad Abu Salim. Hisham è instacabile, non si arrende, vuole conoscere qual è stato il destino del padre: chiede se è vivo, dove si trova, oppure se è morto e dove può essere sepolto.

 So, non ultimo dalle sue lettere, che in quell’esistenza segregata il pensiero dei suoi figli gli offriva conforto e sicurezza. Mi aveva dato qualcosa che non ha prezzo: la sua fiducia. Gli sono grato di avermi costretto a trovare la mia strada. La sua sparizione mi ha lasciato nel bisogno e ha reso incerto il mio futuro, ma è un fatto che il bisogno e l’incertezza possono essere ottimi maestri [Il ritorno, Hisham Matar, trad. A. Nadotti]

Vincitore del Premio Pulizer 2017 per l’Autobiografia, “Il ritorno. Padri, figli e la terra fra di loro” di Hisham Matar (Einaudi, trad. A. Nadotti, 246 pagine, 19.50 €) è un memoir struggente e monumentale, scritto con uno stile seducente ed elegante e con un tono che si mantiene sempre pacato anche quando Matar racconta episodi e scene cruente.

La ricerca del padre scomparso è il cardine del memoir, ma è anche il pretesto per raccontare ai lettori la storia della famiglia Matar, incominciando dal nonno dissidente che combatté contro i coloni italiani, per poi giungere al preciso ritratto di Jaballa Matari.

La grande capacità di Hisham Matar è quella di legare ricordi personali con la storia del suo Paese d’origine, la Libia, riuscendo a presentare un quadro chiarissimo. A fare da controcanto agli eventi famigliari, infatti, vi sono le pagine del colonialismo italiano in Nord Africa iniziato nel 1911, i successivi rapporti tra libici e italiani, la Seconda Guerra Mondiale, l’avvento del generale Muammar Gheddafi, la caduta di quest’ultimo e la primavera araba.

Un documento, “Il ritorno. Padri, figli e la terra fra di loro” di Hisham Matar, che è soprattutto l’omaggio all’amato padre scomparso e al suo Paese. Un libro che colpisce, incanta, seduce e fa arrabbiare: una bella lettura consigliata a chi è interessato al mondo arabo e alla storia contemporanea.

La luce stava lentamente scemando. Il mare era calmo ma non immobile. La superficie era rigata da correnti che fluivano in varie direzioni, lievi come i segni del sonno sulla pelle. Avevo la sensazione non di osservare, bensì di ricordare, come se io e Diana avessimo già vissuto lì e ora fossimo tornati con lo stesso spirito con cui ci era capitato di visitare città dove avevamo vissuto in precedenza; come se ci ritrovassimo in piedi davanti a un edificio che un tempo chiamavamo casa e provassimo la strana sensazione che si prova quando i cambiamenti in noi contrappongono alla stabilità di una geografia famigliare (…) Ma non era una cosa strana da pensare, adesso che ero finalmente a casa? O è questo l’essere a casa: casa come luogo dal quale l’intero mondo tutt’a un tratto è accessibile? [Il ritorno, Hisham Matar, trad. A. Nadotti]

Titolo: Il ritorno. Padri, figli e la terra fra di loro
L’Autore: Hisham Matar
Traduzione dall’inglese: Anna Nadotti
Editore: Einaudi
Perché leggerlo: perché è un libro struggente e bellissimo, perché racconta di un padre e di un figlio, e dell’abisso tra di loro che è stato creato dalla potenza della Storia

(© Riproduzione riservata)

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