Ognjen Spahić è un autore montenegrino ed è bastato questo dettaglio per far sì che io decidessi di leggere “I figli di Hansen” (Zandonai, trad. Ljiljana Avirović, 167 pagine, 13.50 €). Il romanzo tratta argomenti piuttosto forti, vi sono descrizioni alquanto truculente e impressionanti; ma lo sapevo, fin prima di iniziarlo, che un romanzo ambientato in un lebbrosario non fosse semplice da leggere e metabolizzare.
Ho sempre avuto l’impressione che al nostro edificio e al suo stretto circondario si guardasse come a un vecchio e maledetto cimitero nel quale si aggirano gli spettri, e non come a un istituto di cura. Credo che a ciò abbiano contribuito anche le lunghe mantelle che indossavamo, indispensabili protezioni dal sole e dagli sguardi degli altri malati. O almeno da quelli di coloro che gli occhi ancora li avevano [I figli di Hansen, Ognjen Spahić, trad. L. Avirović]
La voce che narra la vicenda è quella di un uomo rinchiuso nell’ultimo lebbrosario europeo, in un piccolo paese rumeno a pochi chilometri dal delta del Danubio. Non dirà mai il suo nome, descriverà poco il suo aspetto fisico e non accennerà mai come ha contratto la malattia.
L’io narrante è un lebbroso, come gli altri dieci ospiti del lebbrosario; grazie al fatto che la malattia di Hansen su di lui non ha ancora avuto effetti granché devastanti, è stato insignito del ruolo di capo, colui che prende le decisioni più importanti e distribuisce cibo, medicinali, indumenti. Nel lebbrosario non ci sono medici, né infermieri: i malati sono lasciati in balia di loro stessi, giungono solamente i volontari della Croce Rossa a portare i pacchi con i generi di prima necessità. Anche se, molto spesso, i pacchi arrivano quasi vuoti perché già saccheggiati dai contadini.
L’azione prende l’avvio nell’aprile del 1989, quell’anno che cambierà la storia della Romania e dell’Europa stessa. I lebbrosi osservano la fabbrica poco distante dal loro istituto: su un poster gigante appeso alla parete, il volto sorridente di Nicolae Ceauşescu invita gli operai al lavoro. Ma nel corso del 1989 i focolai di operai che cercano di ribellarsi si fanno sempre più frequenti, e la Securitate rumena ha un gran da fare per reprimere le rivolte nel sangue.
I lebbrosi non sanno cosa sta accadendo al regime di Dracula, come veniva chiamato Nicolae Ceauşescu dai rumeni stanchi del dittatore. Non hanno idea dei tumulti, delle rivolte, del malcontento che serpeggia tra la gente. Sentono che sta succedendo qualcosa di importante, e mentre Dracula sta per capitolare per sempre, anche all’interno del lebbrosario molti equilibri si rompono.
I più disparati anatemi cristiani ci hanno schiaffeggiato nei secoli passati, ed è proprio il cristianesimo il principale responsabile del fatto che noi oggi stiamo marcendo nella sofferenza. Perché a portare in Europa la malattia furono i crociati (…) Allora l’Europa venne colpita dalla prima grande epidemia, come risulta dal Concilio convocato dal papa nel 1179, nel quale fummo definitivamente proclamati morti tra i vivi e relegati in migliaia di puzzolenti lebbrosari. Ami la Bibbia, odi i lebbrosi, scagli le pietre contro di loro e attacchi campanellini al collo – è stato il divertimento di milioni di anime. [I figli di Hansen, Ognjen Spahić, trad. L. Avirović]
“Il figli di Hansen” è il romanzo d’esordio di Ognjen Spahić, scritto molto bene, in modo decisamente coinvolgente e scorrevole ed è un libro breve ma che contiene moltissimi spunti per riflettere. Se è vero che mancano le descrizione fisiche dell’io narrante, troviamo quelle degli altri ospiti del lebbrosario: sono immagini molto forti, quasi violente, l’autore non risparmia i dettagli. Questo è uno dei motivi per cui non posso consigliare questo libro a tutti, in modo particolare ai lettori più sensibili.
Le descrizioni sono necessarie per far capire come si viveva in un lebbrosario, dove un uomo (o una donna) smettono quasi di essere umani e diventano “dei morti tra i vivi“; la diffidenza della gente, la paura del contagio, le scarse condizioni igieniche e il nervosismo crescente man mano che i lebbrosi prendono consapevolezza della loro drammatica e irreversibile condizione. Per tutta la durata della lettura, ho immaginato questo istituto immerso nella campagna rumena, piatta e vuota e sterile, illuminato sempre da una luce livida e sovrastato da un cielo bianco accecante.
La condizione dei lebbrosi viene fotografata dall’io narrante non solo nel 1989 ma nel corso dei secoli: a partire dalle citazioni bibliche sui lebbrosi – morti tra i vivi – sino alla scoperta del batterio responsabile della malattia da parte del medico norvegese Hansen. Sono parti, queste, che indignano: anziché applicare la carità cristiana e aiutare i malati, questi venivano allontanati dalla società e lasciati vivere d’elemosina, dopo aver celebrato il loro stesso funerale prima che morissero.
La storia della Romania, nella fattispecie dei febbrili mesi che precedono la capitolazione di Nicolae Ceauşescu, viene messa sullo sfondo. Avvicinandosi a dicembre, anche i malati sentono il nervosismo aumentare, e in parallelo con quella che sfocerà nella Rivoluzione rumena – dopo i cruenti fatti di Timișoara – anche nel lebbrosario avviene una rivoluzione. L’io narrante rischia di perdere la sua autorità, l’amico Robert viene malmenato da altri lebbrosi, e alcuni amici muoiono a causa dell’avanzare della malattia; qualcuno fugge dal lebbrosario, mentre l’io narrante e il povero Robert attendono che il Signor Qualunque porti loro i documenti falsi per andare verso la libertà.
“I figli di Hansen” è un romanzo interessante, che mescola sapientemente la storia della Romania della Rivoluzione e quella della lebbra; racconta molto bene le ansie e le paure dei lebbrosi ospiti dell’istituto, come traspaiono i sentimenti rivoluzionari degli operai della fabbrica. Inquieta, turba e spaventa, e a tratti disgusta anche. Ma “I figli di Hansen” fa davvero riflettere sull’amicizia e le alleanze, su cosa significa essere un rietto della società e sulla libertà che ognuno di noi cerca in modo diverso.
(…) e spensi la luce. Se dovessi portare con me un ricordo contenente tutto il vissuto in questo luogo, ogni cosa riflettuta qui, nel corso di tanti lunghi anni, allora sarebbe uno spicchio di buio umido e denso, pensai, chiudendo la porta [I figli di Hansen, Ognjen Spahić, trad. L. Avirović]
L’argomento non è di quelli da affrontare a mente leggera, mi pare di capire. Coraggioso, come esordio.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ciao Pina! Esatto, è un libro forte che deve essere letto con la consapevolezza che non si sta leggendo un libro facile ma che si può rivelare molto interessante e ricco di spunti.
Decisamente un esordio coraggioso, concordo!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Un libro forte; da crederci, e tuttavia davvero interessante perché, in pochi anni, abbiamo cancellato la storia della Romania. Mi vien da dire, in modo poco letterario, che la facciamo facile, con stereotipi banali su quel popolo. “Spero” che lo leggerò.
Interessante e utile la recensione, in ogni modo.
"Mi piace"Piace a 1 persona