Raccontare e raccontarsi: del perché in Italia si scrive così tanto

In questi giorni, oltre alle mie solite letture, mi sono ritrovata a leggere un manoscritto di una ragazza che mi ha gentilmente chiesto un mio parere sulla qualità della storia e dello scritto. Messo in chiaro che non sto leggendo in veste professionale, ma in modo completamente gratuito e “da amica”, sfogliando il manoscritto sono sorte spontanee alcune riflessioni.

Sono solo agli inizi della lettura, ma ho intravisto alcune inesattezze dettate principalmente dalla poca confidenza che ha la ragazza con la scrittura, causata dalla sua giovanissima età. Nella sua testa certamente la storia ha forma e sostanza, ma nell’espressione di ciò che aveva in mente ho visto un po’ di difficoltà. E’ logico, nessuno nasce scrittore e spesso i manoscritti vengono revisionati – o stravolti – dagli editor.

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Non voglio parlare del manoscritto che sto leggendo, ma mentre scrivevo note a margine mi sono chiesta il perché tutti vogliono scrivere un libro. Conosco parecchie persone che hanno pubblicato un libro – alcuni con case editrici a pagamento, ma ne riparleremo in un altro articolo – oppure persone che hanno un manoscritto nel cassetto e cercano di pubblicarlo ad ogni costo.

Perché gli italiani leggono poco ma scrivono tantissimo? Ognuno di noi ha una storia da raccontare, o anche più di una. C’è chi ha il nonno che ha fatto la guerra o la nonna era una staffetta dei partigiani; c’è chi ha superato una malattia e vuole raccontare la propria esperienza; c’è chi è stato volontario in Africa e vuole raccontare la condizione dei bambini denutriti al resto del mondo. Insomma, ognuno di noi racchiude storie, noi stessi non siamo altro che contenitori di storie, e nei nostri scritti ci mettiamo molto di noi.

Tutte queste storie valgono la pena di essere raccontate? Se ci poniamo noi stessi questa domanda, la risposta è senza dubbio sì: certo, la mia storia vale la pena di essere pubblicata.

Chi non riesce a pubblicare con editori “famosi”, si affida all’autopubblicazione e se si guardano i dati recenti, il fenomeno è palesemente fuori controllo: secondo l’Associazione Italiana Editori (AIE) le opere autopubblicate disponibili in cartaceo rappresentano circa il 5% dei titoli in commercio, ma sono circa 6.500 gli ebook creati con le piattaforme di self-pubblishing disponibili in rete (fonte dati: AIE).

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Nel corso di questi ultimi anni, moltissimi hanno pensato che la propria storia valesse la pena di essere pubblciata e il romanzo doveva uscire dal famoso cassetto. Ma perché? Perché con l’arrivo dei social network la nostra vita è stata stravolta. Oggi sentiamo il bisogno di condividere ogni cosa anche con dei perfetti sconosciuti, da ciò che è insignificante – che cosa ho mangiato questa sera? – ad eventi di grande importanza – è nato mio figlio.

Oltre all’impellente bisogno di condividere ogni santa cosa, i social network connettendoci col mondo ci hanno mostrato che siamo tantissimi su questa Terra, e questo ci ha portati all’urgenza di spiccare sugli altri, di distinguerci dalla massa. Dobbiamo prevaricare sul prossimo, convincerlo della nostra bravura, e soprattutto pubblicare la nostra storia perché forse abbiamo paura di restare anonimi o di essere dimenticati quando non ci saremo più.

Credo che siano questi i motivi per cui tanti vogliono pubblicare: l’urgenza della condivisione con il pubblico e la paura di restare anonimi.

Sono sicura che ognuno di noi contenga infinite storie – vere o di fantasia – che vorremmo far leggere al grande pubblico. Eppure, se l’aspirante scrittore scrive tantissimo e legge pochissimo, forse deve umilmente riconoscere che prima di essere grandi scrittori, tutti i nomi famosi sono stati – e sono ancora – grandi lettori, per cui non si può iniziare a scrivere se non si ha un minimo di cultura letteraria.

E se proprio sentiamo nel nostro cuore il bisogno di scrivere, possiamo iniziare a scrivere per noi stessi: impariamo a tenere un diario, inviamo lettere e cartoline agli amici, prandiamo appunti. Poi, dimentichiamo tutto, distacchiamoci e rileggiamoci dopo quale mese: siamo noi quelli che hanno scritto quelle cose, ci riconosciamo ancora?

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10 pensieri su “Raccontare e raccontarsi: del perché in Italia si scrive così tanto

  1. Michela ha detto:

    Brava Claudia, bellissimo post!
    E’ vero oggi tutti noi abbiamo sempre qualcosa da raccontare o manifestare per essere comunque in prima fila, ma ascoltiamo poco, siamo indifferenti verso il prossimo o nemmeno troppo sinceri con noi stessi. Bisognerebbe tornare qualche volta al proprio “io” più nascosto.
    Hai dato veramente un bel consiglio su come migliorare.

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    • Claudia ha detto:

      Ciao Michela, grazie del commento!
      Sì, sono sicura che non siamo dei contenitori di storie, soprattutto al giorno d’oggi nel nostro mondo globale. Se amassimo davvero scrivere, inizieremmo a scrivere lettere e cartoline di auguri, non solo freddi messaggini virtuali!

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  2. Athenae Noctua ha detto:

    Condivido pienamente la tua riflessione, soprattutto in merito alla necessità che ogni scrittore sia, prima di tutto, un lettore. Aggiungo che i social network hanno portato non solo al desiderio sfrenato di esibirsi, ma anche alla necessità di farlo in fretta, spesso senza chiederci se ne valga la pena, se abbiamo davvero qualcosa di importante da condividere e se lo stiamo facendo nel modo giusto. La scrittura richiede riflessione e un instancabile lavoro di revisione e autocorrezione, per non dire che dovrebbe essere legata ad un costante rapporto analitico con le opere del genere cui ci si dedica e con qualche strumento (anche essenziale) di teoria letteraria e stilistica. Fretta ed esibizionismo, insomma, mal si conciliano con l’attività creativa della scrittura o, almeno, della scrittura di una certa qualità.

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    • Claudia ha detto:

      Con questo tuo commento, Cristina, hai perfettamente riassunto ciò che penso e ciò che volevo trasmettere. È ovvio che ogni evento della nostra vita sia importante per noi, ma il punto è proprio se valga la pena che gli altri lo vengano a conoscere!

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  3. antigapalavra ha detto:

    Io al contrario penso di non aver storie da raccontare, forse perché sono ancora troppo giovane, forse invece è perché leggendo molto so che è stato scritto di tutto e non ho motivo di aggiungermi alla folla.
    Credo che la letteratura vada bene oltre le storie; le storie di somigliano tutte ma poche hanno dignità letteraria, quelle funzionali a un messaggio che possibilmente non sia ormai risaputo. E credo che la letteratura pura sia quella che vive anche senza il suo contenuto, quella fatta di forma e di giochi linguistici.

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    • Claudia ha detto:

      Grazie del tuo punto di vista! In effetti, molte volte leggo storie che richiamano – più o meno volutamente – altre storie, oppure che si ispirano a film o a fatti realmente accaduti. Come giustamente scrivi tu, è il modo in cui vengono scritti questi racconti che è importante: ultimamente, l’originalità si è una po’ persa….

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