Mariana Enriquez | Quando parlavamo con i morti

I tre racconti raccolti nel volume “Quando parlavamo con i morti” della scrittrice e giornalista argentina Mariana Enriquez sono inquietanti e claustrofobici. In una Buenos Aires lugubre si muovono i protagonisti di queste storie che hanno qualcosa di misterioso e soprannaturale. Lontana dal realismo magico degli autori sudamericani più famosi, la Enriquez cerca di spaventare il lettore ma anche di instillare una morbosa curiosità per gli eventi narrati.

Eravamo contente che Julita finalmente dicesse qualcosa sui suoi genitori, perché noi non avevamo il coraggio di chiederle niente. A scuola se ne parlava molto, ma nessuno glielo aveva detto in faccia, e noi eravamo sempre pronte a difenderla, se qualcuno diceva qualche cretinata. Il fatto è che tutti sapevano che i genitori di Julita non erano morti in un incidente: i genitori di Julita erano spariti. Scomparsi. Erano desaparecidos. Noi non sapevamo bene come si diceva. Julita diceva che li avevano portati via, perché così raccontavano i suoi nonni. Li avevano portati via, ma per fortuna avevano lasciato i bambini nella stanza (forse non avevano neppure fatto caso alla stanza o magari Julita e suo fratello non ricordavano niente di quella notte, e probabilmente neanche dei genitori) [cit. Quando parlavamo con i morti, pagina 15]

Nel primo racconto “Quando parlavamo con i morti“, che dà il titolo alla raccolta, ritroviamo delle ragazze di Buenos Aires che cercano di mettersi in contatto con i desaparecidos che conoscono per ritrovare i loro cadaveri e vedersi intervistate televisione. Ma un evento alquanto oscuro e insipiegabile porrà necessariamente fine ai loro riti notturni.

Nel secondo racconto “Le cose che abbiamo perso nel fuoco“, la Enriquez affronta un tema molto difficile ma decisamente attuale: la violenza sulle donne. Infatti, nel metrò di Buenos Aires si trova una ragazza sfigurata dal fuoco, un gesto violento da parte del compagno. La ragazza dà l’avvio ad una serie di proteste femminili che sfoceranno nella fondazione di un gruppo, le “Donne Ardenti“, che nel loro programma di protesta hanno alcuni punti particolarmente macabri

Nel terzo e più corposo racconto “Bambini che tornano“, assistiamo al misterioso ritorno dei bambini e dei ragazzi che erano scomparsi da tempo. Ritornano anche i bambini che erano stati dichiarati morti e pare che per loro il tempo si sia fermato. Mechi – impiegata dell’ufficio bambini e adolescenti scomparsi – e Pedro – giornalista – indagano sulla questione, ma mentre Mechi cerca di dipanare la matassa, Pedro si spaventa e scappa in Brasile.

Con una prosa asciutta ed esseziale, Mariana Enriquez ci conduce negli angoli più inquietanti della capitale argentina, che è la vera protagonista nonché vero e proprio filo conduttore di tutti i racconti: una Buenos Aires macabra e cupa, dove avvengono cose misteriose e senza spiegazione. Il lettore curioso arriverà al termine del racconto senza avere un vero e proprio finale. Resterà con i dubbi e senza certezze, a meno che non riesca a dare a se stesso una spiegazione convincente di alcuni incredibili eventi.

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Titolo: Quando parlavamo con i morti

L’autrice: Mariana Enriquez (Buenos Aires, 1973) è giornalista e scrittrice. Collabora con «Radar», supplemento di «Pagina/12», e con le riviste «TXT», «La mano» e «El Guardian». Ha pubblicato Como desaparecer completamente (2004), Los peligros de fumar en la cama (2009) e Alguien camina sobre tu tumba (2013). Predilige le atmosfere dark, ma se altrove ha sperimentato il genere horror (come in No entren al 14GB, antologia dedicata a Stephen King), nei tre racconti di Quando parlavamo con i morti la paura ha sempre connotati metafisici e metaforici, con richiami alla storia dell’Argentina e alla condizione della donna

Traduttrici: Simona Cossentino e Serena Magi

Editore: Caravan Edizioni

Il mio consiglio: se non vi spaventano le premesse e gli inquietanti finali in sospeso

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